Quando ho scritto il Vol.1 la mia situazione era un po’ diversa dall’attuale, tuttavia continuo a pensare e condividere ogni singola parola di quello che sono riuscita a riversare sulla mia fida tastiera del Mac, fu terapeutico, e spero che lo sia ancora. Lì si raccontava le crisi di tutti i giorni, dalle più grandi alle più piccole, quelle che possono far vacillare una coppia consolidata, dicevo quali sono le cose, anche piccole, che possono portarti all’esaurimento, e dicevo di diffidare da quell’ideale romantico dell’amore come la cosa più facile del mondo, perché non è vero, non siamo del tutto nati e programmati per condividere e dedicare le nostre vita ad un’altra persona.
Per farlo ci vuole impegno, ci vuole coraggio, ci vuole estrema dedizione, ci vuole amore, appunto, che è quella cosa tale per cui, in qualche modo, sei disposto a superare tutto, con i dovuti scazzi, i dovuti litigi, le dovute rappacificazioni.
Il Vol.2 nasce dal mio fallimento, anzi, dal nostro. Già mi sento brava a parlare al plurale, perché, per quanto tanti mi dicano che io non ho nessuna colpa, lui compreso, io tendo a pensare che quando una storia finisce, finisca perché c’è qualcosa che non va davvero e probabilmente entrambi i componenti della coppia hanno contribuito. Dico questo parlando di me e della mia storia, in cui non ci sono terzi attori/attrici, tradimenti, fughe scabrose. C’è solo un’enorme, immane, sofferenza, nel dover ammettere, più che altro a te stessa, che hai di fronte una persona che al posto di baciarti appassionatamente preferirebbe darti una bella pacca sulla spalla, come si fa con gli amici.
Metabolizzare la fine di un amore così grande, così totalizzante, non è facile. Ho ferite aperte e sanguinanti ovunque, giorno per giorno si vanno formando delle “crosticine” che basta un gesto disattento per strappare via e ricominciare tutto daccapo. Non è facile fare i conti con i propri sentimenti e la propria voglia di chiudersi da sola da qualche parte a piangere e basta e una vita che comunque deve andare avanti, una vita fatta di lavoro, rapporti con le persone, amicizie, lettori e follower che ti aspettano online e se per qualche giorno non ci sei iniziano a farti domande. So che non dovevo spiegazioni a nessuno, ma le devo a me delle spiegazioni. Devo elaborare scrivendo, perché è l’unica cosa che sono in grado di fare in questo momento. E se non tiro fuori, non riuscirò più ad affrontare altri pezzi, perché in questo momento mi provoca dolore affrontare un articolo su un viaggio perché penso che avrei voluto farlo con lui, su un vestito perché penso cosa direbbe se ce l’avessi addosso, su un profumo perché mi chiedo se l’avrebbe notato, se avessi iniziato ad usarlo. Non c’è nulla, per me, di più emotivo della scrittura. Quando butto giù parole, che siano su carta o tastiera, c’è tutta me stessa, nel bene o nel male. E se sto così non riesco a far emergere le mie consuete ironia e autoironia, non riesco ad essere obiettiva. Sono solo Ale-centrica, in questo momento, sono molto arrabbiata, più che altro con me stessa.
La prima cosa che pensi è: “Non sta succedendo a me”. Il rifiuto. É normale, è una forma di autodifesa del cervello, è come quando vedi un pugno arrivare e ti metti le mani davanti alla faccia sperando, almeno, che non ti rompa il naso. Poi c’è la fase della tristezza, quella cosa che pensavi esistesse solo nei film strappalacrime, ma che in realtà esiste davvero. É la fase delle vaschette di gelato a cucchiai (o nutella, dipende dalle stagioni), è la fase dei pianti a dirotto, del consumo senza ritegno di tutti i fazzoletti della casa, è la fase dell’insonnia, del non riuscire a fare niente che comporti uno sforzo più grande di accenderti una sigaretta al davanzale della finestra, senza fumarla perché ti perdi in qualche pensiero a caso e ti si consuma tra le mani. Dicono che la sofferenza sia una cosa molto intima, ed è vero, in parte, ma, oggi ho pensato, mentre iniziavo a scrivere questo post, che forse la sofferenza intima è ancora più grossa proprio perché non viene condivisa e non diventa occasione di confronto. Non un confronto sterile della serie “Tesoro abbi forza, prima o poi passerà”, dovrebbe essere un confronto aperto e duro, di quelli in cui le persone inizino ad avere il coraggio di confidarsi e raccontarsi l’una l’altra i peggiori pensieri che hanno fatto alla fine di un amore su cui avevano puntato tutto. Ogni singola moneta del proprio jackpot personale.
Sono passata attraverso lutti grandi nella mia vita, eppure il dolore che provo adesso è molto molto differente. La cosa assurda è che tutti danno per scontato che ne uscirò alla grande proprio perché un passato come il mio non può che avermi forgiata a superare il peggio, e, invece vi dico di no, amici e amiche, nessuna esperienza passata potrà mai avervi forgiata a sufficienza per vedere fallire qualcosa che è dipeso solo ed esclusivamente da voi e non da un “di più” esterno, come una malattia o un incidente.
Fare i conti con una storia d’amore che si conclude e con un’altra persona che amate alla follia ma che per motivi non ancora ben chiari non vi ricambia più è ben peggio. Perché non avete spiegazioni, perché potete anche passare intere giornate ad interrogarvi sui vostri errori, se ce ne sono stati, e comunque non troverete nulla in grado di motivare la chiusura di un capitolo lungo 5 anni. Un capitolo lunghissimo, di quelli letti tutti d’un fiato perché sono troppo belli, un capitolo pieno di avvenimenti, belli e brutti, e pieno di tutta la voglia e la capacità di affrontare una vita insieme.
La cosa più difficile da accettare non è tanto il “Non ti amo più”, la cosa difficile da accettare è la perdita di una persona che consideravi la TUA persona, la tua estensione, la tua metà, della mela e di qualsiasi altro frutto al mondo. É difficile non chiamare e non aspettarsi una chiamata, è difficile non vedere il telefono che lampeggia per un semplice “che fai?” nel corso della giornata, è difficile non allungare la mano al mattino e trovare un po’ di capelli da scompigliare, è difficile guardare la tv da sola senza nessuno con cui ridere o confrontarti, è difficile mandare giù qualsiasi boccone in silenzio, senza chiacchiere, senza racconti della giornata. É difficile uscire di casa e vedere donne con il pancione, adolescenti che si baciano, coppie che litigano in mezzo alla strada, anziani che si sorreggono a vicenda. É difficile perché ti sembra di rivedere un film già vissuto con in più qualche capitolo che non hai fatto in tempo a vivere.
É difficile non incazzarsi perché trovi le sue cose in giro dove non dovrebbero essere, è difficile uscire con gli amici e accorgerti dopo qualche minuto che non li stai ascoltando perché l’unico pensiero che hai è “cosa starà facendo lui?”, è difficile accettare che la vostra casa non è più anche casa tua, è difficile accettare che alla soglia dei 30 anni sei di nuovo parcheggiata nella stanza in cui sognavi da ragazzina, è difficile sentirti chiedere un milione di volte al giorno “come stai?”, è difficile sentirti chiedere un milione di volte al giorno “ma sei sicura che la situazione non sia risolvibile?”.
Cosa c’è di risolvibile in un amore che finisce? Al momento non posso che rispondere che sì, purtroppo sono sicura. Che se mi fissassi sul contrario, come ho avuto più e più volte la tentazione di fare, ucciderei quel poco di voglia di vivere che mi è rimasta, per dedicarmi ad una causa che potrebbe essere persa in partenza.
Ma non ho ancora detto quale sia la cosa davvero più difficile di tutte: dover fare i conti con la rinuncia a tutti i sogni e a tutti i progetti. Una coppia è fatta, in parti uguali, di quotidianità, di passato e di futuro. Togli la quotidianità, dilania il passato perché i ricordi fanno male, e stronca pure il futuro, cosa ti rimane di 5 anni della tua vita?
Scusate, ma non credo a chi dice che il meglio deve ancora venire, quello lo canta Ligabue in una canzone, e l’hanno detto anche un sacco di poeti e scrittori. Io la penso diversamente, penso che il grande amore ti tocchi una volta sola nella vita, e che tutto quello che verrà dopo, se verrà, sarà solo un ripiego, un tuo convincerti, un tuo “fartelo andar bene” giusto per non rimanere zitella e rinsecchita fino alla fine dei tuoi giorni. Chi dice che dopo la chiusura di una storia si è rifatta una vita e ha trovato il meglio non credo avesse vissuto QUEL grande amore, semplicemente l’ha trovato dopo, e io non posso che essere felice per chi ha questa fortuna, di arrivare a vivere il grande amore in un’età più matura e responsabile, piuttosto che buttarcisi a capofitto dall’età di 24 anni, senza reti di protezione, senza filtri, abbattendo completamente qualsiasi difesa.
Questa estate andrò al mare, la prima vacanza da sola dopo molti anni. Anche per questo non sono mancati i giudizi, chi preferiva vedermi a Formentera con un drink in mano a cercare di infilarmi negli slippini succinti di qualche aspirante calciatore con 10 anni in meno di me, ecco, mi dispiace deludere le vostre aspettative, ma no, io vado in Liguria, a guardare il mare, riflettere, cercare un punto da cui ripartire. L’emancipazione femminile ha portato disagi non indifferenti nella società, adesso sono in troppi a pensare che una donna fiera, indipendente, imprenditrice, come me, ci possa mettere il tempo di un battito di ciglia per cercare il toy boy calciatore di cui sopra e sfondarsi di alcol nei peggio bar di Caracas.
Preferisco la birra, con moderazione, quella da lasciar riscaldare perché stai parlando con i pochi amici rimasti davvero a capirti, a non forzarti, a non chiederti nulla se non strettamente necessario, o accoglierti a casa loro per chiacchiere sconslusionate che vanno dalla pillola anticoncezionale ai supermercati migliori per fare la spesa.
L’amore è una cosa complicata, complicatissima, eppure anche così, con una ventina di macigni sul cuore, non posso pensare che non valga la pena di essere vissuto. Tornassi indietro rifarei tutto, sbagli compresi. Perché l’amore è una cosa complicata, e l’ho già scritto per ben due capitoli, ma è anche meravigliosa. E continuerà ad esserlo anche per me, forse, quando riuscirò a scenderci a patti.
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