Ci siamo, il 19 febbraio 2015 uscirà in tutte le sale italiane Mortdecai, l’attesissimo nuovo film che vede protagonista un Johnny Depp con i baffi e una splendida Gwynet Paltrow. Un film decisamente particolare che, ve lo dico subito, non mi ha colpito tanto per la trama, quanto per la caratterizzazione dei personaggi e l’attenzione a costumi, trucco e scenografie. D’altra parte, e lo scrivo senza nessuna vena polemica, sembra quasi che l’intento della pellicola sia proprio quello di far riflettere su questioni estetiche che portano ben fuori dallo schermo e, appunto, dalla trama stessa.
Johnny Depp è uno dei miei attori preferiti, dunque rischio di essere leggermente di parte quando dico che, come al solito, trama o non trama, riesce a dare prove della sue capacità interpretative e di quella “faccia di gomma” che si trasforma tanto rapidamente quando rapidamente si susseguono le sua battute ironiche e taglienti. Mortdecai non è un personaggio facile poiché incarna più di un secolo di storia del costume, da quei dandy dei libri di scuola come Oscar Wilde agli hipster moderni presi di mira sulle pagine dei Social Network. Sto dicendo tutto questo, credo, con una cognizione di causa che mi deriva dalla fortuna di aver assistito alla prima milanese del film la scorsa settimana, in compagnia di molti colleghi blogger e giornalisti, anzi, sarebbe meglio mettere un femminile plurale, perché, in effetti, la maggioranza di quote rosa nella sala, per una volta, era tangibile. Johnny Depp ha fascino, è figo, è cool, ha quell’aura da artista scostante che scatena in tutte lo spirito da crocerossina, ma non tanto (o solo) questo, Johnny Depp è dannatamente bravo, anche a recitare un ruolo caricaturale che poteva benissimo far diventare lui stesso una caricatura del suo mestiere d’attore. E invece no, Johhny Depp è capace di trasformare un semplice paio di baffi nel filo conduttore di un film.
Facciamo però un passo indietro obbligatorio e spieghiamo come nasce l’idea di questo lungometraggio dalla regia di David Koepp: Mortdecai è un personaggio che nasce dalla penna dello scrittore inglese Kyril Bonfiglioli, autore della trilogia Don’t Point That Thing at Me – nelle librerie italiane dal 10 febbraio –, Something Nasty in the Woodshed e After You with the Pistol: qui Charlie Mortdecai è un bon vivant di professione occasionalmente attivo come mercante d’arte, sempre sull’orlo del lastrico. Pare che Depp si sia imbattuto per caso nella lettura della trilogia e ne sia rimasto così affascinato da coinvolgere l’amico e collega Koepp nella trasposizione cinematografica. Mortdecai è quello che definiremmo un truffatore, per dirla tutta, ma è talmente colto e di classe che le sue malefatte passano in secondo piano per lasciare spazio, nella sua impersonificazione da parte di Depp, a battute ironiche e, soprattutto, a dei look che possono piacere o non piacere, ma di certo sono curati nei minimi dettagli.
Già solo vedendo il trailer mi ero immaginata questo post, poi me lo sono immaginato ancora mentre guardavo il film. Ho pensato al periodo universitario, in particolare ai corsi di Cultura Visuale ed Estetica, ho pensato a tutti gli articoli che ho letto nell’ultimo anno riguardo gli hipster, i metrosexual e ho ripensato anche a quel filone che durante l’estate 2014 andava per la maggiore sui siti di infotainment: “L’uomo con i baffi piace perché” “I 10 motivi per cui sposerete un uomo con i baffi” “Secondo una ricerca dell’Università X gli uomini con i baffi infondono sicurezza”, eccetera. I barbieri vivono una nuova stagione di lustro, a Milano, addirittura esistono saloni specializzati in baffi e barba all’ultimo grido, le case cosmetiche puntano su prodotti appositi, la cera per tenere l’amico baffo in perfetta posizione, ad esempio, va alla grande. Non mi stupirebbe se anche Mortdecai ne facesse ampio uso.
“Il baffo è uno dei personaggi principali del film”, spiega il makeup designer Premio Oscar Joel Harlow, makeup artist personale di Johnny Depp dai tempi de La maledizione della prima luna. “I baffi di Mortdecai ricordano quelli di Hercule Poirot, più spessi al centro e arricciati ai lati. Sono molto curati e acconciati per donare un’aria caratteristica al personaggio” prosegue Harlow, e ancora “Se il personaggio di Depp non avesse i baffi, non sarebbe Charlie Mortdecai. Sono parte integrante di Charlie, e il modo in cui Johnny li sfrutta per ottenere effetti comici è fantastico”. Quest’ultima parte in effetti è interessante, Depp, da bravo, anzi, ottimo attore, quale è, sfrutta un mezzo, i baffi, per costruire l’intero personaggio, i suoi gesti, il suo modo di parlare, la mimica facciale, ma, ad un livello più approfondito, li sfrutta anche per tessere le relazioni con gli altri personaggi, da quello con il suo braccio destro e fido servitore Jock Strapp, alias Paul Bettany, a quello con la moglie Johanna Mortdecai, alias Gwyneth Paltrow, fino a quello con il rivale Alistair Martland alias Ewan McGregor. Ogni secondo del film sembra urlare “Toccatemi tutto, ma non i miei baffi”, e non solo per parafrasare la famosa pubblicità anni ’90, ed ecco che così la trama sembra quasi diventare un pretesto per fare in modo che siano proprio i baffi a rimanere gli indiscussi protagonisti. Diciamocelo chiaramente, la mia non è una critica, anzi, l’ho trovato molto interessante.
Voglio scomodare Baudelaire con una citazione famosa da Il Pittore della vita moderna: “Il dandismo non è neppure, come sembrano credere molti sconsiderati, un gusto sfrenato del vestire e dell’eleganza materiale. Per il dandy perfetto tali cose sono unicamente un simbolo della superiorità aristocratica del suo spirito.” Forse anche per Charlie Mortdecai vale questa arguta riflessione, ad un primo piano di lettura del personaggio, infatti, vediamo un uomo dedito alla bella vita, agli abiti di lusso, alle donne attraenti e ai piaceri che derivano dal buon cibo e dal buon vino. Un uomo profondamente condizionato dallo status social della sua famiglia, uno status ormai (economicamente) perso da tempo, ma che cerca di mantenere vivo buttandosi in traffici quantomeno loschi. Il secondo piano di lettura si accende appena Charlie Mortdecai si mette a raccontare, effettivamente, l’arte. Che sia la sua materia e il suo pane quotidiano è evidente, i quadri lo animano quasi più della presenza della bella moglie Johanna, ne conosce i segreti, apprezza tratti e pennellate, si perde, quasi, nel racconto della vita “rocambolesca” di Goja. É nell’arte, dunque che si coglie il vero spirito di Mortdecai, baffi o non baffi.
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