“La mia musica parte dal cuore ed al cuore ritorna” – Intervista al Maestro Francesco Paniccia

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francesco2Oggi con estremo piacere incontro un musicista poliedrico e versatile, che puo’ definirsi Maestro non soltanto nell’accezione musicale del termine, ma anche per la rara capacità di influenzare positivamente, con la sua presenza e la sicurezza che riesce ad infondere nei colleghi di lavoro, la buona riuscita di uno spettacolo. Francesco “Frisco” Paniccia è giovane ma ha già collezionato importanti esperienze musicali, non soltanto in Italia ma in vari paesi europei, dove ha tenuto svariati concerti ottenendo entusiastici consensi da una fascia di pubblico decisamente esigente. Ultimamente ha lavorato molto anche in teatro, impreziosendo e completando, con le sue ora graffianti ora struggenti esecuzioni al piano, raffinate performances teatrali (ultimo in ordine di tempo “Voci di donne lontane”, con l’Eco dei Sanpietrini in varie date replicate a Roma) costruite e riadattate per un pubblico dal fine palato. Inoltre, di recente ha riscosso un enorme successo al Teatro dell’Arciliuto di Roma con il suo “La viola azzurra”, concerto in cui il Maestro ha dato vita a sue personali e vivaci interpretazioni dei brani di grandi compositori quali Chopin e Bach, passando  per altri generi, quali Piazzolla e Morricone, e regalando al pubblico anche proprie composizioni di grande impatto ed intensità emotiva. Lo intervisto con estrama semplicità, chiedendogli cio’ che maggiormente mi incuriosisce sapere della sua Professione di Musicista.
Maestro Paniccia, per prima cosa raccontaci che cos’è per te il “mestiere” di musicista.
Per prima cosa ci tengo a sottolineare un concetto importante: è un mestiere vero e proprio. Per quanto banale possa apparire questa affermazione – specialmente nel nostro paese – a pensare che il nostro possa essere un lavoro sono veramente in pochi. La maggior parte delle persone crede che parlare di musica, teatro, pittura, danza e consimili, equivalga  a definire delle mere categorie di divertimento, che con la professione hanno poco a che vedere. E’ vero che è molto duro vivere di arte, bisogna insegnare, inventarsi di tutto e suonare il più possibile, ma col sacrificio ed un pizzico di fortuna ci si può anche “campare”.
francesco3Qual è stata la tua formazione artistica?
Ho avuto una formazione pianistica classica, legata alla tradizione e al conservatorio. Ma ho approfondito gli studi altrove, anche all’estero, allargando i miei orizzonti, soprattutto stilistici ed aprendomi ai generi cosiddetti leggeri.
C’è stato un momento, durante il tuo percorso artistico, in cui hai pensato di lasciar perdere la musica e dedicarti ad altro? Se si, perchè?
Ci penso tutti i giorni. La situazione nel nostro paese è complessa: o sei la pop star del momento e fai soldi a palate, o vivi alle estreme periferie dell’arte. A fronte di un singolo musicista di successo, ve ne sono centinaia che, pur avendo qualità e sostanza, fanno la fame. Penso con ammirazione alla Francia, dove ogni realtà artistica, anche la più piccola e peculiare, ha una sua nicchia di estimatori, un suo mercato. In Italia questa è pura utopia. Tutta la “middle class” musicale arranca.  
Cosa credi debba prevalere, quando si suona, la tecnica o il cuore?
Credo che ogni cosa parta dal cuore e ritorni al cuore, passando per il filtro della ragione. Il mezzo tecnico traduce il messaggio della musica attraverso dei precisi gesti fisici. La tecnica è importante, direi che è la base della nostra professione, perché se anche il cuore, unito all’analisi ragionevole di ciò che andiamo a fare è nel giusto, basta un gesto tecnico errato per falsare la verità dell’esecuzione.
Come nasce l’ispirazione, quando componi un brano? Quali autori e compositori hanno influenzato maggiormente il tuo personale repertorio?
Mi lascio affascinare da tutti i generi musicali, espressi dai loro maggiori interpreti ed ascolto di tutto: dalla musica classica al jazz, passando per il pop, il minimalismo ed i generi commerciali. Mi piacciono molto anche i temi popolari e tradizionali. La mia musica è una combinazione di classicità romantica e modernità.
In merito all”ispirazione, credo sia una pura categoria di pensiero. Ti arriva quando sei “al chiodo” e devi produrre; te la dà il lavoro, il fatto di essere sotto pressione. Ovviamente ci sono giornate in cui tutto riesce più facile ed altre in cui si vedono solo salite. Ma, esattamente come nella vita, le occasioni non ti vengono mai a cercare a casa. Anche nella scrittura tirar fuori un’idea è quasi sempre frutto di “insistenza”. La cosiddetta ispirazione ricopre un 5% della faccenda, il restante 95% è pura traspirazione, sudore, fatica.
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Raccontami un aneddotto divertente legato alla tua esperienza di musicista.
Se vuoi un aneddoto del mio passato musicale ne ho uno estremamente divertente. Nella mia carriera ho suonato un po’ ovunque e nei contesti più disparati, dalle grandi sale da concerto alle cantine. Una quindicina di anni fa andai a fare una serata con un cantante presso un centro anziani. Il contesto non era ovviamente il massimo, ma pagavano bene ed avevo bisogno di soldi. Proponemmo un repertorio a nostro dire adeguato  ed eravamo ben convinti di animare le danze al meglio. Non appena gli arzilli vegliardi appurarono che non avevamo portato una fisarmonica, bensì una tastiera di nuova generazione, e che il nostro repertorio (giudicato troppo moderno) non si confaceva ai loro gusti, iniziarono a lamentarsi a gran voce e tememmo ci volessero linciare. Una situazione terribile (ride). Arrivammo non si sa come alla fine della serata, intascammo la busta coi soldi e ce la battemmo a gambe levate.
Che cosa pensi dell’elemento musicale a teatro? Che peso e che impatto ha una buona colonna sonora a teatro, per la riuscita di uno spettacolo?
Questa è una bella domanda, perché alle collaborazioni teatrali mi sono volentieri dedicato in passato e fanno tutt’ora parte della mia vita artistica. La musica che si scrive e si suona per la scena, deve avere anzitutto una sua funzionalità e servire la rappresentazione con personalità, senza essere invasiva. Da un lato ciò è un vantaggio, poiché è la trama stessa dello spettacolo a fornirti la chiave di ciò che devi suonare; dall’altro, imbeccate troppo precise possono essere controproducenti, spingendoti ad un risultato scontato. E’ un finissimo discorso di equilibri, stimolante e giocoso. Quando sei in uno spettacolo, vivi la stessa favola dei personaggi, in una macchina dove a te spetta il compito di dare il gas, mentre gli attori elaborano i percorsi, le curve e le manovre della messa in scena.
Qual è secondo te la situazione della musica in Italia? Che differenze hai riscontrato all’estero rispetto al nostro paese, tu che hai avuto la possibilità di tenere numerosi concerti anche nel Regno Unito, in Francia e altrove?
Come ho già detto viviamo in tempi cupi. Il nostro è il “bel paese”, il paese della cultura e delle grandi tradizioni artistiche, ma buona parte del pubblico, dei fruitori dell’arte, da un lato sembra non accorgersene, dall’altro pare aver perso ogni coscienza critica di ciò che è bene e ciò ch’è male. All’estero il pubblico è più esigente, attento, riconoscente verso la bontà delle cose. Nell’Europa dell’est, ad esempio, da ragazzini di undici, dodici anni ti puoi aspettare osservazioni e critiche di una tale finezza da lasciarti basito.

Hai un sogno nel cassetto ancora da realizzare, legato alla tua professione?
I miei sogni nel cassetto sono tanti, ma il primo è quello di mantenere una solida stabilità professionale, per potermi dedicare anima e corpo ai miei progetti, senza soverchie preoccupazioni di carattere economico.
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Spaziando con la fantasia, e potendo scegliere un’altra professione che non sia il musicista ma sempre legata al mondo dell’arte, che cosa vorresti “sperimentare” sulla tua pelle?
Non mi dispiacerebbe dedicarmi alla terra, piantare cose, seguire il ciclo delle stagioni, potare, curare le piante e lavorare all’aria aperta. Credo non vi sia mestiere più artistico di questo. La luce del sole e i colori dei campi, la musica degli uccelli e degli insetti, la danza delle piogge; senza contare il momento del raccolto, la condivisione dei frutti del lavoro con altri esseri umani. Sento un intimo bisogno di ritornare alle origini; ci siamo molto distaccati dai nostri vitali ritmi arcaici. E questo ha prodotto le principali nevrosi e frustrazioni dei tempi moderni. Tali rischi li percepivano bene molti artisti e poeti, a cominciare dai latini, che scelsero la vita in campagna, in alternativa ai ritmi cittadini e mondani.
Si….fare il contadino sarebbe una buona alternativa alla musica!
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