In anni di incursioni nell’universo del design costellato da grandi brand internazionali, si è acceso sempre di più il mio interesse verso lo scenario evolutivo dell’autoproduzione. In un contesto socio-economico difficile si afferma via via il coraggioso desiderio di una laboriosa autonomia, creativa e manuale. Non più scelta di ripiego per talenti esclusi dal mercato di aziende legate all’editoria di settore, ma soluzione consapevole dal forte carattere innovativo. Un sali-scendi emozionale fatto di sperimentazione, determinazione, spesso messo alla prova da errori sulla strada verso la perfezione, che accomuna artigiani, progettisti, architetti orientati alla sintesi tra estetica e funzionalità. E allora cantine e depositi si trasformano in laboratori artigianali accogliendo quel saper fare che sta dando nuovi impulsi alla produttività. Oggetti di recupero, materiali e attrezzi pronti per essere animati da manualità in fermento.
La lungimiranza di Giulio Iacchetti, a capo del progetto Internoitaliano, ha infatti colpito nel segno. Un network di artigiani e distributori, mica semplici terzisti ma veri e propri attori principali raggruppati in una fabbrica modello opensource che diventa un intreccio di trama e ordito imprenditoriale sul territorio, composto da studi e officine che trovano nel web un adeguato canale per la promozione e la commercializzazione di oggetti e complementi. Una filiera fondata su reciprocità ed equità dove è la natura collettiva del manufatto a stabilire tempi, modo e prezzi rapportati alle diverse esigenze di utenti alla guida di nuovi modelli di consumo.
Le opportunità offerte dalla rete, vengono sempre più messe a fuoco da un vivaio di talenti in fila davanti alla scaletta del trampolino di lancio, certe grandi iniziative promosse da maestri del design di fama internazionale innescano un inevitabile processo di viralità fatto di cluster autonomi dove chi prototipa, produce e si promuove lo fa in piena autonomia scegliendosi le piattaforme ideali, artigiani, mezzi e strumenti vari. Pure Stefano Zanaboni ha compreso a fondo l’importanza dei portali di self-promotion e degli earned media, come blog e social network. Anche questa di oggi è una storia che nasce da un incontro casuale. Lo conosco mentre è al lavoro (uno di quelli che si fanno per sbarcare il lunario in attesa di affermazione e gloria), in uno dei posti da me eletti tra i preferiti di questa estate appena conclusa, il Casello Giallo. Li, osservando il design dell’ambientazione, tra urban style e shabby chic, tra riciclo e riuso ci incontriamo, io che scrivo di design, lui che fa il designer e si autoproduce.
Provate a indovinare, scatta la chiacchierata, ma che ve lo dico a fa’!. La sua formazione dopo le superiori si presenta un po’ nervosa, diciamo così; si iscrive alla Facoltà di Medicina, poi cambia con Economia e Commercio, poi però una data, se vogliamo, un numero magico, 090909 segna definitivamente la sua strada e si iscrive al NABA. “Mi si apre un mondo, entro nei laboratori e sono affascinato dal concetto di workshop, sono affascinato da attrezzi e utensili; li, capisco di essere legato più alla funzionalità che all’estetica“. Cos’è il disegno, forse non lo sa nemmeno lui, “non so disegnare ma so usare le mani“. Tanta la voglia di usarle che ancora studente si mette alla ricerca di uno scantinato e apre con due compagni di studio il laboratorio ASteMi, dall’acronimo dei loro nomi, Andrea, Stefano e Mirko.
Lì dentro diversi studenti andavano a prototipare e nel contempo nasceva il primo progetto: Home Sweet Home. “Due mesi a correre in città per anticipare l’arrivo dell’ANSA per recuperare di tutto, oggetti, tv, mobili, ante, sedie rotte, assi di legno“. Tutto per dimostrare come fosse possibile arredare uno spazio di 45mq a costo zero. Insieme a Andrea Segato, Marco Salvi e Giulia Soldati regala nuova vita a oggetti scartati, rivalutandoli e contestualizzandoli all’interno di uno spazio urbano con lo scopo di farlo vivere come se fosse casa.
Dallo studio escono i primi manufatti, realizzati sempre in team con altri compagni di studi. In attesa di una visita inattesa, è un mobile in legno con funzione di libreria e appendiabiti che, se aperto, grazie alla sua modularità, si trasforma in una camera completa per l’ospite, c’è il letto, la scrivania, una sedia e mensole per appoggiare oggetti.
Idea di forte impatto che è riuscita a fare la sua apparizione al Salone del Mobile del 2012, ma dal momento che di necessità si fa virtù, Stefano cerca casa, una casa che sia anche il suo spazio per lavorare; la trova e la chiama Officina Woodz, da qui la partenza di un nuovo percorso. Manca la cucina, si reca in un grande store di arredamento svedese ma costano tutte un botto e allora decide di farsela; esce da li e si sceglie un altro store, questa volta di una grande azienda francese specializzata in edilizia, decorazione e fai-da-te. Porta a casa 15 metri quadrati di abete in assi da 80 centimetri. Tagli, assemblaggi e dopo un paio di giorni prende forma un parallelepipedo con varie aperture per inserire lavelli, fornelli e elettrodomestici, con piano trattato con un idrorepellente trasparente e tutto il resto a vista. Ecco Koch, risultato decisamente raw ma che da tanta soddisfazione.
Poco a poco desideri e sogni non solo prendono forma grazie ad abili mani ma si avvicinano concretamente alla porta della produzione. Fiat Lux, Zanaboni pensa alla luce e crea Come Quando Fuori Piove. Lampada dalla geometria molto semplice che riproduce la silhouette della classica da comò. Nasce da una lastra in 2d ed emula volume con le sue linee rigorose. Emana luce a Led da un diffusore posizionato in uno spazio ricavato sulla testa. La grande mobilità consente di posizionarla in circa 20 differenti posizioni. Apparsa durante la scorsa edizione di Homi nel modello originale in policarbonato, verrà realizzata in metacrilato trasparente con diverse colorazioni dall’azienda VergaPlast che l’ha presentata in anteprima nel suo stand.
Così accade anche per Clac, l’ultima nata. Lampada da scrivania in abete rosso dotata anche questa di illuminazione con tecnologia a Led. Due differenti luci giocano a contrapporsi con differenti intensità. Un bianco freddo che mantiene i colori della realtà, adatto per la zona lavoro e un bianco caldo che rende l’ambiente accogliente con ombre ed effetti, ideale per il living. Si avvale di un meccanismo di conduzione brevettato dal designer che consente di eliminare il classico cavo d’alimentazione tradizionale, sfruttando le potenzialità dei magneti al neodimio. L’elettricità, a basso voltaggio, corre lungo due barre metalliche nascoste all’interno dell’albero e consente di alimentare il disco luminoso; questo può essere spostato, alzato ed inclinato senza vincoli meccanici. I magneti sono posti all’interno del disco e chiudono il circuito. Sotto la base, un sensore che controlla l’intensità luminosa fino allo spegnimento. Clac sarà prodotta dal Consorzio Tecnoimprese che la presenterà ufficialmente alla prossima edizione di Illuminotronica in programma dall’8 al 10 ottobre a Padova.
Bella storia! Determinazione, ingegno, creatività, ricerca, manualità, capacità di promuoversi e fare networking, alla base del successo sulla strada dell’autoproduzione; lunga, difficoltosa, poi però qualcuno si accorge e ti produce. Con Funk Design ci rivediamo sabato, per uno speciale dedicato alla nuova edizione di DesignCircus.
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