La scorsa settimana mi avete letta twittare di Acto Onlus e della lotta, ma anche e soprattutto dell’informazione, riguardo il carcinoma ovarico. Insieme ad altre blogger e giornaliste abbiamo partecipato ad una interessante tavola rotonda, alla presenza delle dottoresse Nicoletta Colombo, direttore del reparto Ginecologia Oncologica Medica presso lo IEO di Milano e della dottoressa Vanda Salutari, direttore della Divisione di Ginecologia Oncologica presso il Policlinico Gemelli di Roma.
Sedersi ad una tavola rotonda riguardo un argomento del genere non è semplice, soprattutto quando hai avuto delle esperienze personali in famiglia che ti hanno già messa di fronte alla difficoltà di vedere una persona cara ammalarsi di cancro, e non farcela. Certo è che di fronte a tematiche importanti non si può stare in silenzio, soprattutto quando il tuo ruolo di blogger, o influencer (perdonatemi il termine, lo detesto anche io), ti mette nella condizione di poter parlare ad un grande numero di persone contemporaneamente, specialmente ad altre donne.
Il carcinoma ovarico, alle soglie del 2016, è ancora considerato un killer. Per di più un killer molto silenzioso, perché è difficilissimo diagnosticare la malattia prima che si sia già sviluppata. Si tratta del sesto tumore più diffuso tra le donne, ogni anno nel mondo ne colpisce circa 250.000 con un tasso di mortalità del 50%, in Italia circa 37.000 donne soffrono di questa patologia, ogni anno si diagnosticano 6.000 nuovi casi e, secondo il Registro tumori, il numero delle nuove diagnosi è in crescita. Il perché di questo incontro e della tavola rotonda è presto detto: bisogna fare informazione e bisogna sensibilizzare, bisogna spiegare alle donne cosa è il carcinoma ovarico, come affrontarlo, a chi ci si deve rivolgere e cosa si può fare prima, durante e dopo la malattia. Questo anche perché delle ricerche recenti hanno reso evidente quanto ancora poco le donne conoscano di questa malattia: da un’indagine del 2011 di Onda – Osservatorio Nazionale sulla salute della donna – condotta in Italia su un campione di 504 donne tra i 40 e i 65 anni, sono emersi alcuni dati interessanti, ad esempio, 8 donne su 10 non hanno mai parlato con nessuno di tumore dell’ovaio, l’87% delle donne non ha mai parlato di tumore dell’ovaio con il proprio medico, solo il 9% delle donne ne ha parlato con un ginecologo, il 70% delle donne non conosce le sue manifestazioni né conosce gli esami cui sottoporsi per diagnosticarlo.
Non serve essere esperti di statistica per capire che si tratti di cifre davvero alte.
Purtroppo il tumore dell’ovaio, come ci hanno spiegato entrambe le dottoresse durante l’incontro, è una malattia davvero complessa di cui si conoscono poco le cause, ma di cui si conoscono i principali fattori di rischio, cioè quelle situazioni che aumentano la suscettibilità allo sviluppo della patologia. Tra questi, la familiarità e l’ereditarietà genetica hanno una rilevanza particolare. Per questo la risposta sta nel DNA.
I geni BRCA1 e BRCA2 controllano la proliferazione cellulare e il riparo del DNA agendo da freno sulla moltiplicazione incontrollata delle cellule anomale che possono causare l’insorgenza dei tumori. Per questo sono chiamati geni oncosoppressori e la loro funzione si esprime principalmente su seno ed ovaio. A volte in uno di questi geni può essere presente un errore nella sequenza del DNA, cioè una mutazione genetica che ne riduce la capacità di controllo e di freno aumentando così la probabilità che le cellule anomale si moltiplichino dando origine al tumore.
Essere portatori di una mutazione sui geni BRCA1 o BRCA2 comporta una maggior probabilità (non la certezza, attenzione!) di ammalarsi di tumore alla mammella o all’ovaio nell’arco della vita. Se il test del DNA dovesse dare questo esito sarà importante stabilire con il proprio medico un protocollo da seguire, ad esempio una profilassi farmacologica (come l’assunzione della pillola anticoncezionale che riduce il rischio di tumore ovarico) o di profilassi chirurgica (rimozione delle mammelle, delle ovaie e delle tube). Ovviamente i casi vanno valutati singolarmente, anche, come è ovvio, in base all’età della paziente e al suo stile di vita, quel che è certo è che il test del DNA è da incoraggiare non solo tra le donne già conclatamente malate, ma anche tra le loro familiari dirette, in modo da indagare un quadro genetico che permetta sia di prevenire, sia di trovare il farmaco migliore possibile per la paziente.
In molte Regioni italiane è ormai possibile eseguire questo esame tramite la mutua assistenza, anche se ovviamente deve essere attestata la familiarità della malattia, ma le regole cambiano comunque da regione a regione e si deve fare ancora molto, in tal senso, per sensibilizzare sul tema e portare all’approvazione norme e leggi ben precise, come quelle che esistono già, ad esempio, per il tumore al seno.
Ulteriori informazioni, anche tecniche ma spiegate, credetemi, in modo estremamente comprensibile, potete trovarle all’interno del sito di Acto Onlus – Alleanza Contro il Tumore Ovarico e per assistenza potrete scrivere a segreteria@actoonlus.it
Io, che ho una storia familiare piuttosto complessa da un punto di vista tumorale, sono tranquilla? Onestamente no. Ma eventi come questo mi aiutano a riflettere sull’importanza della vita e di quello che facciamo adesso, giorno per giorno, e di quello che fanno dottoresse come la Colombo e la Salutari, oltre che ovviamente di tutte le persone che fanno parte di Acto Onlus e di tutte le altre associazioni che oggi combattono per informare ed aiutare. Non volendo entrare nel dettaglio, rischiando di risultare triste o smielata (l’intento è quello di spronare e sensibilizzare in modo positivo), voglio chiudere con lo slogan utilizzato da Acto Onlus, il ribaltamento di un proverbio che, non a caso, mi è sempre stato antipatico: “il silenzio è d’oro”. Non è vero, il silenzio non è mai d’oro, specialmente in un ambito come questo. Parlare, sapere, dire, fare e informare contro il tumore ovarico in questo caso specifico, e contro i tumori di ogni genere.
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