Amore un anno dopo. Un anno dopo quei post che avete letto in tantissimi, e ancora continuate a leggerli. Si sono indicizzati nel marasma di Google, cercati e trovati da chi, come me, stava forse attraversando la burrasca e cercava una parola di conforto, o di comprensione. O forse cercava solo qualcuno in cui rispecchiarsi.
Quando li ho scritti, quando ho deciso di mettere a nudo gran parte del mio cuore, anche, lo ammetto, per puro sfogo personale, non sapevo cosa sarebbe successo davvero dopo. Non sapevo ancora che avrei comprato una casa, ad esempio. Non sapevo che sarei andata incontro all’anno con più lacrime versate che io ricordi. Non sapevo che sarei anche riuscita a ridere parecchio, di cose che magari prima non mi facevano ridere per niente. Non sapevo, al contrario, che non sarei più riuscita a ridere delle cose di cui ho sempre riso. Non sapevo che non sarei più riuscita a percorrere certe strade o ascoltare, anche solo per sbaglio, certe canzoni senza una dolorosissima fitta al cuore.
Un anno senza amore, quel tipo di amore, lo sento come un anno buttato via. Sono riuscita a ricostruirmi, come tutti mi avevano detto? No. E lo ammetto ormai senza farmene una grande colpa. Non ci sono riuscita, non ancora. Ho vissuto alti e bassi, li vivo ancora, ma sono lontanissima dalla ricostruzione. Perché ogni volta che mi sembra di aver fatto un passo in avanti succede qualcosa che mi riporta all’inizio, come quando tiri i dati al Gioco dell’Oca e sfiga vuole che devi tornare alla “casella iniziale”. Ed è così, in una montagna russa di sentimenti che è davvero difficile riuscire a mettere in ordine. E infatti ci ho rinunciato. A mettere ordine. Ho deciso che sarà il destino, il futuro, il fato, la mano divina, chiamate QUESTA cosa come volete, a decidere.
Non ho un vero e proprio atteggiamento passivo, semplicemente ho scelto di comportarmi di giorno in giorno così come il mio umore mi suggerisce. Lo so, talvolta, spesso, quasi sempre, sembro schizofrenica. E per chi ha deciso di rimanermi accanto quest’anno di sicuro non sono stata una presenza facile. Vorrei anche scusarmi, ma non posso scusarmi di essere come sono. Come sono diventata dopo che un lavoro di fino con l’Attak ha cercato di rimettere insieme i cocci di quello che un tempo era un “vaso perfetto” e che ora lo è solo se lo si guarda da lontano.
Ho lasciato che un sacco di persone, in questo anno, mi guardassero da lontano. Talvolta ho sperato anche che qualcuno avesse voglia di accertarsi più da vicino della reale fattura del vaso, ma ciò non è successo. E, in fondo, va bene così. Avrei sentito probabilmente la necessità di giustificarmi per tutte quelle crepe, e quelle imperfezioni, mentre, invece, non devo giustificarmi di nulla.
È stato un altro anno di terapia, il quarto. Pensavo di essere alla fine del mio percorso, e invece sono stata costretta, mio malgrado, a scoprire nuove cose di me, a scoprire come Alessandra (e come me, penso, tante altre migliaia di donne e uomini nel mondo) può reagire al dolore provocato da qualcosa che, per la prima volta nella sua vita, finisce senza causa di forza maggiore. In soldoni: se la vita è stata stronza e mi ha preparata ad affrontare la morte, per quanto mai si possa essere preparati alla morte, non mi aveva invece preparata ad affrontare qualcosa che finisce senza essere definitivo.
Non è stato semplice, a 30 anni, scoprire lati nuovi del mio carattere, scoprire, ad esempio, di essere follemente gelosa, e che la gelosia è davvero quel germe schifoso che ti si infila nella testa e non ti molla cervello e respiro per un minuto al giorno. Non è stato facile scoprire di essere capace di dire cose cattivissime senza pentirsene davvero. Non è stato facile scoprire di essere ancora insicura come un tempo, a livello sentimentale. Come se 5 anni di amore folle non mi avessero lasciato nemmeno un briciolo di autostima in più, nemmeno una puntina di consapevolezza di essere in grado di amare e farsi amare.
La cosa che mi fa più arrabbiare, ancora oggi, sono i rimpianti. Avete presente la tipica domanda marzulliana: “preferisci i rimorsi o i rimpianti?”. Molti non sanno mai come rispondere. Io sì. Preferisco di gran lunga i rimorsi. Il rimpianto non lo tollero, perché significa che io, abituata a dare e darmi sempre al 100%, in qualunque cosa/settore/ambito, non l’ho fatto fino in fondo.
Ciò che mi rende triste, invece, è aver perso la capacità di essere felice per gli altri. 30 anni è quell’età in cui in un anno ti arrivano almeno un paio di inviti a matrimoni, se ti va bene, ed è comunque quell’età in cui, grazie ai Social, scopri ogni giorno un tuo compagno dell’asilo/scuola/liceo che si sposa e/o partorisce e/o entrambe le cose. Intendiamoci, non è che non riesco ad essere felice per gli altri, specie per le persone a cui voglio bene, è che la felicità è sempre mista a qualcos’altro, una sensazione di distacco, una pellicola protettiva in cui mi avvolgo da sola, perché se solo mi fermassi a pensare che, in realtà, quello che vivono gli altri lo vorrei tanto vivere io, mi blocco io, mi si bloccano le giornate. Si ferma tutto.
Come uno STOP cliccato sulla scena madre di un film che stai guardando in streaming.
Soffro ancora, tanto. E ci tenevo a scriverlo per dirlo a tutte quelle persone per cui il famoso “anno dopo” che in tanti ci avevano promesso sarebbe stata la svolta: non è detto. Magari c’è chi, come noi, ha bisogno di ancora più tempo. Magari c’è chi, come noi, ancora non si è arreso, perché ha la testa di ferro, e il cuore anche. Ci siamo attaccati a quell’idea che “l’anno dopo” fosse la curva dopo il rettilineo, vero? Ecco, bene. Ora continuiamo ad andare dritti e facciamocene una ragione, probabilmente alle curve manca ancora un po’, e non è detto che abbiamo sbagliato strada.
Io prometto che proverò a non sentirmi in colpa per essere ancora sul rettilineo, promettetelo anche voi, specie a voi stessi. D’altra parte non è scritto da nessuna parte che “Amore un anno dopo”, significhi essere pronti per amare di nuovo. Anzi. La mia terapia sono stati, e continueranno ad essere, gli amici, quelli veri, che conto sulle dita di una mano, e la scrittura. Non solo quella “lavorativa” che molti di voi leggono ogni giorno qua e là sul web, una scrittura personale, creativa, curativa, racchiusa in un file gigante, che si chiama ancora “Boh”, ma che presto troverò il coraggio di rinominare, inviare a chi di dovere, e che sarà il mio primo, vero, romanzo.
Forse “Amore un anno dopo” potrebbe essere quel titolo che cercavo.
Condividi:
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Altro