Generalmente sono molto politically correct e non parlo male delle colleghe sul blog, tanto alcune a far parlare male di sé ci pensano da sole portando avanti comportamenti al limite dell’assurdo, quest’oggi, però, voglio fare un’eccezione soffermandomi su una polemica scoppiata sul profilo Depop di Chiara Ferragni, proprio lei, la blogger da 8 milioni di dollari l’anno, la superstar della rete che, ormai, non ama più nemmeno farsi definire blogger.
E infatti non sto parlando male di una collega, non la considero tale, ci tengo solo ad analizzare un fenomeno, a mio parere inquietante che ho scoperto per puro caso ieri sera nella mia navigata serale in quella che considero una delle app migliori dell’ultimo anno (ma facciamo che di questo parliamo in un’altra occasione perché avevo giusto in mente un post in proposito).
Premessa per chi non sapesse: Depop è un’applicazione mobile concepita sotto forma dei garage sale, molto di moda oltremanica, semi sconosciuti da noi ma in ascesa (vista la crisi, vendere e comprare l’usato sta diventando quasi una necessità). L’ho trovata interessante fin da subito, sia da un punto di vista meramente tecnico, sia da un punto di vista “umano”: sul Depop italiano, infatti, in una prima fase, si trovavano quasi solo appassionati/esperti di vintage desiderosi di scambi e compravendite in tema, oppure designer emergenti in cerca di un nuovo canale per commercializzare le loro opere. Solo in una seconda fase sono arrivati gli utenti che potremmo definire comuni, ovvero persone semplicemente desiderose di svuotare un po’ l’armadio e magari arrotondare a fine mese, solo in una terza fase sono arrivate le blogger. Io stessa ho un account Depop grazie al quale sono riuscita a vendere oggetti mai utilizzati o utilizzati pochissimo, non ho moltissimi follower, posto quando mi capita l’occasione di dover effettivamente vendere qualcosa, ma, nel frattempo, seguo parecchi utenti interessanti sia italiani che stranieri e raccolgo case history per i miei corsi di Social Media Marketing. Quando, mesi fa, arrivò la notizia dello sbarco di Chiara Ferragni su Depop, ovviamente, iniziai a seguirla, desiderosa di capire la sua strategia anche su questa applicazione: d’altra parte, e questo lo dico sempre, non è diventata un fenomeno mondiali macina-soldi per caso, tutto quello che fa ha dietro motivazioni ben precise e soprattutto un team di persone che, nel bene o nel male, fanno marketing e portano a casa dei risultati.
Immaginate cosa possa significare per migliaia di ragazzine in tutto il mondo che la idolatrano, avere la possibilità di acquistare i suoi abiti e i suoi accessori dismessi. Un’occasione ghiotta, irresistibile. D’altra parte fin dai tempi dei tempi le fan non si picchiano sotto ad un palco al lancio della maglietta in regalo dalla loro rockstar preferita?
Tutto lineare fino a quando ho iniziato a notare lo strano meccanismo di assegnazione dei prezzi agli articoli. Ora, lo scopo di Depop, dovrebbe essere quello di dare una valutazione oggettiva dello stato di usura del capo che si intende vendere e stabilire, di conseguenza, un prezzo accessibile o comunque inferiore all’originale in una percentuale ben più significativa di quella che si può già trovare nei vari negozi dell’usato o degli outlet.
Succede che Chiara Ferragni, dopo aver cercato di vendere magliette di Zara a prezzi che probabilmente non hanno mai avuto nemmeno in negozio, compie il fatale errore di cercare di vendere una borsa di Miu Miu che presenta un evidente stato di usura nonché la parte inferiore completamente rotta e scucita. A 400€. Che, dopo i primi commenti negativi sono diventati 380€ e dopo un’altra ondata di lamentele, 350€.
Le sue fan e le sue detrattrici si lamentano indistintamente, alcune iniziano a scrivere, motivando, che non solo vuole vendere una borsa distrutta a quel prezzo, ma che la borsa è anche falsa. Chiara Ferragni (o meglio quel qualcuno della sua crew addetto a svuotarle l’armadio), cancella alcuni commenti. Il polverone aumenta. Alcune utenti iniziano a segnalare l’oggetto come falso, altre chiamano in causa dall’alto l’account Depop_help, che, in teoria, dovrebbe aiutare a dirimere le questioni più spinose legate a vendite e acquisti.
Io leggo stupefatta la sfilza di commenti e mi chiedo: come diamine ti viene in mente di vendere una borsa completamente rotta e danneggiata a quel prezzo? Perché? Perché, eventualmente, non farla riparare e sistemare e poi metterla in vendita evitando di dare l’impressione di quella che se ne frega perché tanto qualche idiota che comprerebbe anche i suoi calzini usati, nel mondo, esiste? Perché dare conferma, anche su una piattaforma come Depop, della zero voglia di interazione con i propri follower? Intendiamoci, io la Ferragni la capisco anche, ha così tante conversazioni da gestire al giorno che non può certo mettersi a rispondere a tutti come facciamo invece noi povere blogger sfigate, ma, dico, almeno ogni tanto, intervenire e dare qualche soddisfazione agli utenti? Farsi vedere attive e partecipativa? Magari anche difendersi e spiegare…perché no? Mi spiace dirlo, ma ci vedo la supponenza di chi ormai ha un’autostrada spianata davanti a sé, di chi ragiona solo nell’ottica del “nel bene o nel male purché se ne parli”, di chi si sente così forte da poter vendere una borsa rotta e usurata ad un prezzo oggettivamente eccessivo. Perché, giusto per dirne una, avesse affidato la transazione ad un negozio specializzato, una borsa in quelle condizioni non gliel’avrebbero accettata, anche se fosse stata la prima borsa tenuta in mano da Anna Wintour al compimento del dodicesimo anno di vita.
Di per sé ho raccontato un pettegolezzo della rete (questa è la mia sezione editoriali, ho parlato di Raffaella Fico in treno, perché non avrei dovuto raccontarvi questa?), ma cerchiamo il lato positivo, vorrei lanciare un avvertimento utile a chiunque faccia questo mestiere: state attenti! L’esposizione sul web è uguale a qualsiasi altro genere di esposizione, vuol dire essere sempre sotto esame, vuol dire, anche, avere delle responsabilità nei confronti di chi ci segue con costanza, ammirazione talvolta, disapprovazione in altri casi, ma sempre di responsabilità si tratta. Per vivere con la coscienza pulita bisogna avere quantomeno la certezza personale di non aver fatto nulla di sbagliato, eccessivo, offensivo, bisogna dare libertà di parola e non censurare i commenti, bisogna fornire spiegazioni qualora vengano richieste. Insomma bisogna rispondere alle regole base dell’interazione sociale, del networking, oltre che di quella parola così spesso dimenticata, educazione.
Chiara mi dispiace, questa volta hai toppato: che la borsa sia falsa o meno non saprei, non ho competenze per dirlo con certezza guardando una semplice fotografia, ma non si mette in vendita un oggetto così usurato e danneggiato ad un prezzo del genere dando per scontato che la propria fama aiuterà sempre e comunque a portare a casa la pagnotta. Gli utenti a volte sono influenzabili, è vero, ma non sono scemi. Ecco, ultimo messaggio per tutte le blogger che se lo dimenticano troppo spesso, smettetela di comportarvi come se l’utente medio fosse scemo e non capisse, perché, vi svelo una novità, è esattamente il contrario!
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