Ho sempre voluto improntare questo blog sull’ironia e sulla frivolezza di tutte quelle cose che possono piacere a noi donne, e l’ho fatto, premessa del primissimo post che ormai risale a mesi fa, per allontanarmi stilisticamente da un blog che mi ha accompagnata dai 17 anni che era diventato così personale da risultare una sorta di alter ego su web che, francamente, inquietava anche me.
Oggi però non ho voglia di essere leggera, e ci tengo anche a precisare una cosa, se non fosse già chiara a tutte le persone intelligenti che ogni tanto passano da qui a leggere, scrivere di frivolezze, parlare di moda o commentare dei libri letti non significa essere leggere, frivole o senza pensieri, significa tenere un blog e usarlo come “valvola di sfogo” rispetto alla vita di tutti i giorni.
Ci ho messo un po’ di anni ma alla fine ho capito che convogliare il mio piacere di scrivere verso argomenti che non ricalcassero ogni secondo la triste condizione dell’Italia o i miei problemi personali (tra l’altro comuni a quelli di tante persone mie coetanee), mi rendeva più felice e mi presentava anche in modo più piacevole agli altrui occhi.
Ma oggi, dicevo, faccio un eccezione e non so come finirà questo discorso che ho un po’ confuso in mente, ma ci provo lo stesso.
Non abito in via Olgettina e francamente anche se sono milanese di nascita non so nemmeno dove sia, prima dei noti scandali non l’avevo mai sentita nominare, ma questo non è strano. Notoriamente la mia conoscenza della toponomastica della città è davvero scarsa.
Dicevo che non abito da quelle parti né fisicamente né metaforicamente. Sono una che come tante, anzi, come la maggior parte delle ragazze e dei ragazzi (ma chissà perché di noi non si parla mai?) ha studiato 5 anni, si è laureata con il massimo dei voti e si è messa a lavorare, anzi, sta cercando con un’enorme fatica, tante delusioni e umiliazioni di inserirsi nel mondo del lavoro.
Non tengo più nemmeno l’elenco di tutte le aspirazioni e le ambizioni a cui ho dovuto rinunciare in questi anni, e non intendo i sogni da bambina tipo “da grande voglio fare l’astronauta”, intendo le ambizioni concrete, quelle come fare un’esperienza di lavoro all’estero, fare un master professionale che non costi 20.000€ o che se non sei raccomandato da qualcuno non sarai mai ammesso, fare uno stage con rimborso spese che serva davvero a qualcosa e non a imparare a fare fotocopie più velocemente di flash gordon e caffè più buoni di quelli di Cova.
Oggi è una giornata in cui mi vengono in mente tanti detti popolari, uno tra tutti “Piove sempre sul bagnato” che può voler dire tante cose e essere applicato a una miriade di situazioni diverse.
Mi chiedo solo se sia giusto che in un’età in cui una persona inizia a pensare al colore delle tazzine che vorrebbe nel suo pensile della cucina piuttosto che al colore delle ballerine da indossare, non riesca a vedersi davanti uno straccio di prospettive.
E il sorriso che avevo qualche mese fa all’uscita di un’aula in cui mi avevano dichiarata dottoressa con 110 e lode manco me lo ricordo più. Manca un mese ai miei 25 anni e mi rendo conto che sono già stanca. Ho superato ben di peggio nella vita e chi mi conosce da anni sa di cosa parlo e sa cosa ho passato, eppure adesso sono stanca.
Forse si potrebbe semplicemente dire che il mio approccio con il mondo del lavoro non è stato particolarmente fortunato. Ok, ma in quanti siamo a poterlo dire in questo momento? In tanti, troppi. Sono passata da un lavoro che potenzialmente poteva piacermi molto e situazioni di contorno mi hanno fatta detestare, a un lavoro che mi piace moltissimo e su cui sto sputando sangue ma in cui c’è sempre qualcosa che a fine giornata mi lascia con l’ansia, lo stress, le perplessità e le preoccupazioni di dire “cosa accadrà domani?”. Una manciata di euro al mese con cui tanta gente campa e francamente mi domando come sia possibile e mi sento anche una codarda per questo.
È un sistema sbagliato e malato, i giovani che meritano, hanno entusiasmo, voglia di fare e sarebbero disposti a qualsiasi sacrificio per ricevere anche solo un complimento o una gratificazione sono nella mia situazione. Gli altri campeggiano sui giornali e nei programmi di approfondimento, gli altri vengono identificati come I GIOVANI.
Non riesco a capacitarmene.Vorrei uno stipendio commisurato al fatto che lavoro 8 (o più, a volte molte di più) ore al giorno. Vorrei potermi rendere indipendente e seguire quell’iter di “distacco felice” da casa che per anni è stato la normalità nelle famiglie tradizionali di questo paese che ormai assomiglia più a una barzelletta che ad altro. Al momento non potrei nemmeno permettermi l’affitto di una camera in condivisione, né tanto meno potrei fare una spesa mensile al supermercato senza chiedere l’aiuto di papà.
Nessuno dice che dobbiamo farcela da soli, subito. Questo è ovvio, ma il problema è che se anche ne abbiamo tutte le buone intenzioni, al momento, non ci sono prospettive. È vero: it’s a long way to the top…ma c’è una cima? Quanti anni avrò quando finalmente potrò dire di aver preso la strada giusta, di non essermi accontentata, di non aver rinunciato a qualcosa senza nemmeno provarci?
Avete presente quando da bambini si realizza improvvisamente l’immensità del mondo. E si inizia a chiedere a mamma e papà: chi siamo? Da dove veniamo? Perché siamo qui? Ecco, peccato che oggi me lo sto chiedendo da sola e per il resto del mondo “è solo un po’ di stress”.
Perdonate le sfogo, tra poche ore calerà il sipario anche su questa giornata.