Mi sono imbattuta nel kintsugi quasi per caso, in realtà stavo cercando tutt’altro sul web, poi questo termine, che avevo già sentito, mi ha colpita, e ho deciso di approfondire. Forse perché, adesso che ho ripreso a viaggiare per il puro piacere di farlo, ho in mente un viaggio proprio nel lontano Giappone, o forse perché, le parole, quelle giuste, ti illuminano quando meno te lo aspetti.
Kintsugi in Giappone è una vera e propria arte millenaria. Se qualcosa si rompe, loro lo riparano. Con l’oro. Ecco infatti la traduzione letterale del termine, che vuol dire “riparare con l’oro”. Oro e argento liquido vengono utilizzati per saldare insieme le parti di un oggetto rotto accidentalmente, di solito, o comunque tradizionalmente, vasellame in ceramica. In questo modo, oltre ad evitare uno spreco, si dona nuova vita all’oggetto e lo si rende prezioso, per via dei materiali utilizzati, oltre che unico, perché nessuna crepa sarà mai uguale all’altra, e di conseguenza anche nessun intervento di kintsugi lo sarà.
Credo che sia una delle metafore di vita più potenti che io abbia mai scoperto. Nel leggerne l’ho sentita arrivare come un’ondata e mi sono immedesimata così tanto nel concetto da provare l’immediata esigenza di averla tatuata sulla mia pelle.
Nella vita mi sono spezzata più e più volte, e non me ne lamento, sia ben inteso, perché ogni singola crepa è ciò che mi rende quel che sono oggi. C’è chi ha avuto crepe ben più profonde delle mie, non intendo metterlo in dubbio, il punto è proprio questo. Ognuno ha le proprie crepe, le proprie ferite e le proprie cicatrici, e, in quanto tali, non ne esistono di meno importanti, più importanti, meno serie, più serie.
Io mi sono ricomposta più e più volte, da sola, o con l’aiuto provvidenziale di qualcuno, però mi sono ricomposta. Vuol dire che la mia vita è stata piena di kintsugi, fin dalla più tenera età. E vuol dire che dentro ci sono esperienze, persone, canzoni, fogli e fogli di diari scritti, risate, vacanze, film al cinema, libri letti di nascosto sotto le coperte. Ci sono i primi baci, le lettere d’amore, ci sono le notti di sesso, le colazioni con i pancake caldi, con le brioche fredde e con il pane raffermo perché hai finito tutto in casa. Ci sono i primi viaggi da sola, le bollette da pagare, il rogito di una casa, il primo lavoro, ci sono gli addii, gli arrivederci, ci sono carenze, mancanze, cuori spezzati, amori passionali, amicizie nate per caso, ci sono sigarette fumate più o meno di nascosto di altre. Ci sono volti, mani, parole, voci, suoni, canzoni, litigi, pianti, confessioni sottovoce.
Ogni esperienza della vita contiene una crepa che abbiamo saputo, quasi senza rendercene conto, trasformare in oro colato. E non tanto perché la situazione si sia davvero risolta positivamente secondo il senso comune del “positivo”, quanto proprio perché l’abbiamo risolta, le abbiamo dato una collocazione nella nostra vita, l’abbiamo archiviata, nel bene o nel male. E qualunque altra cosa dovesse succedere in futuro, l’esperienza passata, con le sue crepe e le sue colate d’oro, rimarrà lì a ricordo. Non tanto a dirci come affrontare un’altra esperienza simile, perché ogni esperienza è diversa dall’altra, ma a ricordo. Un trofeo di cicatrici ricomposte, un modo per avere sempre sott’occhio, concretamente, l’idea che possiamo farcela, che ce l’abbiamo già fatta e che non c’è nessun motivo per cui non dovremmo riuscirci nuovamente.
Ho letto che c’è chi non comprende quest’arte e la considera uno stupido attaccamento agli oggetti, in senso puramente materiale, al passato, in senso metaforico. Ma, pensiamoci, siamo forse tutti su questa terra per spazzare via il passato, cancellare tutto come un colpo di spugna e farci spazio a suon di macete eliminando tutto quello che intralcia la nostra strada, o siamo qui per trovare la nostra collocazione nel mondo, rispettando gli altri, cercando di combinare meno danni possibili, cercando di rispettare le esigenze e i sentimenti altrui? In quest’ottica valorizzare ciò che abbiamo rotto a monito e ricordo di come lo abbiamo rotto, e di come lo abbiamo riparato, è una degli insegnamenti più grandi che doniamo a noi stessi. Invece di continuare a sostituire e sostituire, e compensare, e compensare, senza imparare nulla.
Un’altra cosa che ho scoperto in questa mia nuova vita, sicuramente più riflessiva rispetto a quella condotta in passato, è il potere della visualizzazione. Quindi, tutti i miei bellissimi vasi di esperienze, piene di crepe riparate con oro e argento, io me li ammiro proprio, su una mensola gigantesca. Li ammiro nella mia mente quando sono stanca, quando sono stressata, quando sento di non farcela, quando vorrei mandare tutti a quel paese, quando vorrei non alzarmi dal letto la mattina, quando mi sento insoddisfatta di un aspetto della mia vita. Io guardo la mensola e poi penso a quanto coraggio ci voglia per pensare di aggiungere tantissimi altri vasi, ma anche a di quante cose rimarrebbe priva la mia vita se smettessi di considerare l’idea di aggiungere vasi rotti, e riparati con il kintsugi, alla mia personalissima collezione.
E, infine, mi piace pensare che ognuno di noi possa aver fatto parte, fare parte, o che farà parte, della colata d’oro che andrà a riparare e donare una nuova vita e un nuovo senso, ai pezzi rotti di qualcun altro.
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