E alla fine vincono ancora i vecchi stereotipi, la donna non sa guidare, la donna è più emotiva e tutte quelle fesserie che neppure Samantha Cristoforetti riesce a evitare, ma da là su può rendersi conto di quanto siamo meschinelli qua giù. Noi madri, casalinghe o lavoratrici, conviviamo ancora con la terribile constatazione che la nostra identità sia ancora definita in base alla nostra funzione biologica e non alle nostre attitudini personali. A dirlo non sono io, ma una ricerca condotta dalla startup innovativa Intribe (www.marketingantropologico.it) nel mese di maggio di quest’anno ed anche se ci piacerebbe poter ribattere, come nel miglior talk show che si rispetti, che il sondaggio non è attendibile, quando lo visioniamo dobbiamo ammettere che oltre ad esser stato effettuato con tutti i crismi, offre uno spaccato della realtà tanto veritiero quanto draconiano.
Messe di fronte al ritratto di noi stesse, siamo costrette a vederci per quello che siamo e l’immagine rappresentata, come quella di Dorian Grey, non mente anche se noi l’avevamo ben mascherata, celata alla vista dei più a cui ci mostriamo come donne felici e soddisfatte. Invece, da un campione rilevante di 2250 su 11000 conversazioni selezionate tra forum, blog, articoli e siti internet, emerge che ben poche tra le madri lavoratrici si sentono realizzate, e sono soprattutto quelle che hanno le capacità per crearsi un lavoro su misura.
Tutte le altre vivono come Giano bifronte, sdoppiate tra casa e famiglia: gli antichi Romani, quando aprivano le porte del tempio di Giano, segnalavano l’entrata in guerra, in questo caso se apri le porte di casa di una mamma lavoratrice scopri una guerra interiore perpetua, in cui il senso di colpa ha la meglio. Il risultato è che queste donne si sentono stanche e soprattutto sole, perché spesso il loro desiderio di lavorare e magari far carriera viene interpretato come un’esuberanza giovanile, un bollore intemperante che poi con il tempo verrà spento. Nasci da incendiaria, muori da pompiere: almeno tutti così si aspettano. Inoltre a far compagnia a queste donne c’è anche spesso la paura del licenziamento o della diminuzione dello stipendio, perché la legge in Italia non aiuta come all’estero le madri che lavorano.
Se provate a chieder in giro le donne, che cercano lavoro, hanno paura di dire che sono fidanzate o sposate, perché allora potrebbero essere escluse dalle selezioni in quanto c’è il rischio che rimangano incinte. Alcune, allora, sono costrette a garantire anche per iscritto che eviteranno gravidanze a breve… E poi si parla di pari diritti.
Neppure le mamme casalinghe sono messe meglio: le frustrazioni incombono anche su di loro, che, pur avendo case ordinate e preoccupandosi principalmente dei bisogni del pargolo, si sentono insoddisfatte e soprattutto sole. Quello che accomuna le mamme casalinghe e le lavoratrici è la cultura del sacrificio, tipica della donna italiana pre anni 70.
L’immagine che il ritratto ci mostra è dunque quello spietato di una donna, che, pur consapevole della parità raggiunta (almeno a parole) di diritti tra uomo/donna è delle battaglie intraprese dalle precedenti generazioni, si senta comunque obbligata a pagare il fio, a scontare la colpa delle sue velleità indipendentistiche, come se il fantasma della donna angelo del focolare ancora ci perseguitasse.
Visto che non possiamo come Samantha Cristoforetti partire per lo spazio cercando un pianeta dove fondare una città migliore, perché sarebbe un’Utopia, ci tocca combattere qui contro questi fantasmi del passato e cambiare il modo di pensare partendo da noi stesse. Abbiamo già iniziato ad ammettere le nostre frustrazioni tra di noi in forma anonima ad esempio sui blog, come http://badmothersanonymous.com e, visto che queste ansie non incombono solo sulle donne italiane, alcune scrittrici anche straniere hanno incominciato a denunciare apertamente la loro insoddisfazione ed anche il desiderio di realizzarsi come donne e non solo come madri. Judith Warner, nel suo libro Perfect Madness: Moterhood in the Age of Anxiety, ha denunciato come la società americana abbia ormai abbandonato qualsiasi atteggiamento progressista e la donna risente profondamente di questo neo conservatorismo, colpevolizzata se non accudisce casa e figli, preferendovi la realizzazione personale. Nessuno arriva ad abbracciare le affermazioni, o meglio le provocazioni, di Ayelet Waldman che in Bad Mother arriva a scrivere di amare più il marito che i figli e che soffrirebbe di più per la perdita del coniuge che per quella della prole.
Dunque le frustrazioni ci sono. Tra di noi in segreto lo ammettiamo. Alcune addirittura lo denunciano apertamente. È sufficiente? No, è solo l’inizio è spetta a noi mamme combattere questa battaglia. Sarei contenta se l’anno prossimo leggessi uno studio che non parla di madre casalinga/madre lavoratrice, ma di genitore a casa/genitore al lavoro, non importa chi, se il padre o la madre.
Il nostro pensiero può cambiare la realtà, la nostra voce può farsi sentire e non rimanere soffocata nelle mura domestiche. Non siamo solo numeri di un’indagine, abbiamo volti che non devono nascondersi dietro anonime maschere. Dobbiamo essere unite e non farci consumare dal senso di solitudine, perché siamo tante. Oggi per noi, un domani per le nostre piccole donne.
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