Mentre l’anticiclone africano imperversava sull’Italia, in un calmo paese della pianura lombarda dove il caldo ristagnava afoso, avreste potuto vedere aggirarsi per le strade una strana figura di donna, strana perché nonostante i 35 gradi all’ombra sfoggiava un maglione di lana abbinato ad un paio di pantaloni lunghi. Se poi foste riusciti a riconoscerla e chiamata per nome, lei avrebbe dovuto fermare il suo passo frettoloso e si sarebbe voltata: horribile visu! Nel volto della donna avreste riconosciuto la sottoscritta che portava su tutto il corpo gli inconfondibili segni della varicella.
Molte delle mie amiche sono letteralmente corse vie da me, temendo il contagio, e vane erano le mie parole che assicuravano che ormai non ero più infettiva. Trattata alla stregua di un appestato, ritornavo a casa con i miei trentanove di febbre e se vi state chiedendo perché fossi uscita la risposta è semplice: non certo per diffondere la pestilenza, o essere guardata come se indossassi una lettera scarlatta, ma per accompagnare le bimbe all’asilo nido, procacciare il cibo per le suddette pargole e svolgere quelle pratiche non rinviabili.
Perché se sei una mamma e ti ammali, non puoi chiedere al tuo capo (i.e. Tuo figlio) i giorni di malattia: i bambini vogliono una mamma sempre attiva e quando cerchi di spiegare loro che beh insomma la mamma non è al top, non sta tanto bene, ti guardano con due occhi sconvolti come se avessi detto loro che il sole domani non sorgerà, ed allora perché quello sguardo non si conficchi nel tuo cuore, neghi e ti rimetti a giocare con il sorriso. E fai tutto questo anche se l’untore è proprio il tuo pargolo. Infatti, è stata proprio mia figlia MariaVittoria che per prima è caduta vittima della varicella (unica malattia infettiva per cui non è obbligatorio o consigliato il vaccino) ma lei, come dopo sua sorella, con le forze della sua giovane età ha superato la malattia brillantemente, perché come ci ha spiegato la pediatra per i bimbi più piccoli sono, meno complicanze ci sono ed anzi spesso neppure si presenta la febbre. Per gli adulti, invece, è una sorta di flagello di Dio, come per una strana legge del contrappasso: tu da piccolo hai osato scamparla, ora eccoti queste simpatiche bolle pruriginose, per cui ti è impedito di lavarti corpo e capelli, non devo prendere sole e caldo (e come faccio visto che è luglio!), ed ovviamente il tutto è accompagnato da febbre e brividi. Costretta quindi a cercare l’oscurità, che Dracula di Stoker a confronto mi fa un baffo, una certa ironia tragica ha il sopravvento sul prurito e mi trovo a ridere degli innegabili doni della maternità, tra cui per dirne solo alcuni nove mesi di nausee, notti insonni con bimbo che strepita in braccio, malattie tipicamente infantili contratte da adulti..insomma robe che alla fine della fiera ti chiedi se ne vale veramente la pena. Poi eccola lì la mia piccola untrice, che si avvicina con un cucchiaio preso dalla sua cucina giocattolo, melo porge e mi dice: ” Mamma, ecco medicina, così i puntini via e noi giochiamo insieme.” Io faccio finta di prendere la sua cura e lei sorride, mi guarda e mi dice : “Mia mamma, tutta mia, mia, mamma bella.” La medicina immaginaria e la formula magica della mia piccola in realtà hanno un effetto portentoso e io non posso che abbracciarla e pensare che, anche solo per un attimo così, vale la pena tutto, qualsiasi fatica, qualsiasi giornata no, Senza figli forse non avrei mai fatto la varicella, ma sicuramente non avrei mai assaporato la medicina magica delle mie figlie, le mie piccole streghette senza cui questa mamma babbana non saprebbe come si sorride.
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