Alcuni di voi già lo sanno, altri ancora no, ma di base la mia vita è un enorme, gigantesco, smisurato, intreccio di casini. Casini non è una parola politically correct, lo so, e non si addice nemmeno ad una signorina. Ma ormai sono grande, vivo da sola, ho appena cambiato città per la terza volta in due anni e mezzo (e lavoro annesso), sono single, più che ad una signorina assomiglio ormai a Bridget Jones a tutti gli effetti. E dunque mi è concesso eccome dire “casini”!
Dicevo: qualcuno di voi lo sa già che la mia vita è una rincorsa ai cas…ehm, alle circostanze più strane, assurde, paradossali che possano mai capitare ad una persona, dunque non vi stupirete di quello che ho da raccontarvi, ovvero una giornata di ordinaria follia nella vita di Alessandra. Perché uno si sveglia alle 7, puntuale, nonostante lo scarso sonno, deve fare la doccia per non sembrare Ursula de la Sirenetta e far spaventare colleghi e clienti, deve preparare qualcosa che assomigli ad una colazione e qualcosa che assomigli ad un pranzo per la provvidenziale schiscetta del mezzogiorno. Deve poi vestirsi, e non con la tuta della palestra, purtroppo, ma con qualcosa che assomigli a dei vestiti da maggiorenne, uscire di casa, bere due o tre caffè, prendere la metro, arrivare in Agenzia, accendere il computer, leggere una sbrodolata di e-mail. Insomma, deve fare la vita di una trentenne, che ha una casa da gestire, un lavoro come pubblicitaria di belle speranze, degli amici, l’indifferenziata da portare ai bidoni nel giorno giusto, queste cose qui.
Ma non divaghiamo. Ieri mattina mi sono alzata, come tutte le mattine, e ho ripetuto, uguale a se stessa, la routine di cui sopra. È stata una giornata piuttosto impegnativa a lavoro, e chi la voleva cotta e chi la voleva cruda (ringrazio mia nonna per il bagaglio di modi di dire old fashioned che mi ha lasciato in eredità e che mi piace tanto utilizzare), chi si lamentava, chi era contento, ma non abbastanza, chi si arrabbiava per un nonnulla e chi scattava come una molla per banalità di primo grado. Poi, a pranzo, ovvero quell’unico momento della giornata (intesa come “luce a giorno”), posso staccare il cervello e pensare un po’ al mio fantastico mondo, sono iniziati i problemi: ho preso il mio fidato smartphone per controllare l’andamento dei Social del blog, Instagram e Facebook in primis e puff…ha iniziato a spegnersi e riaccendersi da solo, come posseduto dal demonio. Panico. Ho iniziato a cercare di spegnerlo e riaccenderlo, bloccarlo e sbloccarlo, attivare e disattivare contemporaneamente tutte le funzionalità base. Ma niente, viveva di vita propria. Pausa pranzo buttata via così, nel disperato tentativo di rianimare lo smartphone, ovviamente senza successo. Rientro mesto in postazione e primo tentativo di cercare su Google informazioni:
“smartphone si spegne e riaccende da solo”
primi risultati di ricerca
“virus smartphone, cosa sono e come riconoscerli”
Molto bene. Ho preso un virus. E non un virus influenzale di quelli che ti lasciano stesa 3 giorni a fissare il soffitto con 39 di febbre e delirando, bensì un virus “virtuale”, di quelli che ti vergogni a dire che hai preso perché proprio tu, che lavori sul web da sempre, non puoi aver preso un virus in modo così sprovveduto. E chissà dove poi, forse navigando in un sito cinese di creme per il viso cercando il rimedio miracoloso per le rughe e la pelle grigiastra? Possibile.
Con lo smartphone posseduto ho portato a termine la giornata di lavoro, sono uscita, si è messo a piovere, non avevo l’ombrello e a casa mi aspettava il frigorifero vuoto. Ho fatto la spesa, mi sono bagnata come un pulcino, sono arrivata finalmente nel caldo rifugio domestico. Ah no, il temporale ha fatto saltare la corrente, la programmazione del riscaldamento è saltata. Mi sono avvolta in una seducentissima vestaglia in pile e mi sono detta: “Ale devi risolvere il problema al telefono”. Ho acceso il computer e ho proseguito la triste ricerca di come eliminare un virus dallo smartphone e mentre cliccavo qua e là in preda alla disperazione lo schermo del computer si è annerito improvvisamente.
Non è possibile. E invece sì. Nella mia vita è possibile anche questo. Ho iniziato a schiacciare compulsivamente tutti i tasti possibili, ma il computer sembrava riavviarsi per poi far comparire degli strani warning rossi ad intermittenza. “Eh che cavolo, da qui le creme cinesi non le ho cercate però!!”.
Morale della favola, a mezzanotte al posto di scappare perdendo la scarpetta, ero ancora lì a cercare una soluzione che si è poi palesata sotto forma di Antivirus. No, non l’antibiotico, un Antivirus vero e proprio, quella cosa che tutti non installiamo mai perché pensiamo di essere super partes e invincibili, anche contro la tecnologia. E invece.
Invece i nostri smartphone e i nostri computer vanno protetti, esattamente come ci stringiamo la sciarpa al collo in inverno, perché altrimenti la giornata nera, come la mia, prima o poi ti capita. Ho scelto il pacchetto Pro di Avira, perché con un prezzo ben più che ragionevole puoi proteggere fino a 5 dispositivi contemporaneamente dagli attacchi dei malware, ideati per sottrarti l’identità, le finanze e i dati personali. Alla faccia delle creme cinesi per eliminare le rughe. Me ne sono venute più di prima grazie allo spavento di aver perso, tutto di un colpo, la mia “vita digitale”.
La morale di questa favola quale è? Prevenire è sempre meglio che curare, come nel mio caso, ma, buono a sapersi, a volte trovi degli ottimi alleati anche per curare.
Nell’ordine ieri sera ho acquistato il pacchetto pro, l’ho attivato sul computer, ho eseguito la scansione, messo in quarantena ciò che danneggiava il funzionamento del mio dispositivo, poi ho collegato lo smartphone e ripetuto il procedimento. Sono andata a dormire alle 2 (vi devo ricordare a che ora è impostata la sveglia?), ma almeno adesso sono serena, dati protetti e navigazione in tranquillità, e le creme anti-rughe, giuro, da oggi le comprerò solo in siti iper protetti e controllati.
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